Le Sinfonie di Beethoven: l’Eroica e Napoleone

 A cavallo di due secoli: Ludwig van Beethoven e le sue Nove Sinfonie

 

Ludwig van Beethoven fu tra i compositori che tra la fine del’700 e la prima metà dell’800, per la sua inventiva, stravolse quelli che fino all’epoca furono le strutture formali musicali. Fu grazie a lui che proprio in quegli anni si ebbe l’affermazione della “forma sonata”, nella struttura che oggi conosciamo. Ma non solo, la sua instancabile penna ci ha lasciato opere immortali come le Nove Sinfonie, che segnarono l’inizio di un periodo beethoveniano ben preciso (gli inizi dell’800), e più precisamente dal 1799 al 1824, che coincide con l’inizio della sordità del compositore e con la presa di coscienza dei problemi ad essa correlati. Sono gli anni in cui Beethoven passa dalle crisi di sconforto all’ottimismo, che andrà via via sublimato in amore ideale per l’intera umanità. Questo periodo della sua vita fu molto fecondo per la composizione che, tralasciata la carriera pianistica per la sordità, nacquero oltre alle Sinfonie, gli ultimi tre concerti per pianoforte e orchestra, memorabili sonate per pianoforte, i due maggiori Trii per archi e tre quartetti per archi ( la Tripartita op.59).

Le Sinfonie di Beethoven
Ludwig van Beethoven

Nel sinfonismo beethoveniano convergono tre elementi: la pura meditazione in vista dell’assoluto musicale, l’eroico che tende al conflitto tragico, l’incomprimibile vitalità «fisica», danzante o fluente come un fiume, spesso colorata d’ironia e di divertimento. Sotto l’aspetto tecnico Beethoven usa organici orchestrali poco numerosi, sobri e non particolarmente variegati, malgrado i potenti effetti che essi misteriosamente producono. La Prima Sinfonia in do maggiore op. 21 è un bell’esempio di classicismo viennese, ma nuovo è lo scherzoso inizio del primo tempo, che lascia incerta la tonalità, e quello del Finale, che lascia incerti il tempo e il ritmo.

La Seconda Sinfonia in re maggiore op. 36 (1803) è una partitura vivace, piena di rievocazioni di marce e fanfare militari, in cui l’uso delle modulazioni si fa audace.

La Terza è in mi bemolle maggiore op. 55 «Eroica» (1805), originariamente fu intitolata “Sinfonia a Bonaparte”, in omaggio a Napoleone Bonaparte, il console francese che aveva iniziato a riformare radicalmente l’Europa dopo aver condotto campagne militari in tutto il continente. Nel 1804 Napoleone si incoronò imperatore, una mossa che fece arrabbiare molto Beethoven. La storia ci narra che il compositore strappò il frontespizio e in seguito ribattezzò la sinfonia con il nome “Eroica”, perché si rifiutò di dedicare uno dei suoi pezzi all’uomo che ora considerava un “tiranno”. Tuttavia, permise comunque che sul manoscritto pubblicato ci fosse l’iscrizione “composta per celebrare il ricordo di un grande uomo“, nonostante poi abbia dedicato il lavoro a Lobkowitz, uno dei mecenati di Ludwig van Beethoven. Ciò ha portato sin da allora storici e biografi a speculare sui sentimenti di Beethoven verso Napoleone.

Le Sinfonie di Beethoven
manoscritto Sinfonia di L.v.Beethoven

L’influenza di Bonaparte, della Rivoluzione francese e dell’illuminismo tedesco su Beethoven furono fattori importanti nello spiegare lo sviluppo del cosiddetto stile “Eroico” che finì per dominare questo periodo compositivo. I tratti dell’eroico includono i ritmi di “guida” (spesso le opere del periodo possono essere identificate tanto dal ritmo quanto dalla melodia/armonia), drastici cambiamenti dinamici e, in alcuni casi, l’uso di strumenti marziali. L’eroico contiene dramma, morte, rinascita, conflitto e resistenza; può essere riassunto come “superamento”. L’Eroica è una delle pietre miliari principali nello sviluppo del sinfonismo di Beethoven. È qui che vediamo per la prima volta l’ampiezza, la profondità, l’orchestrazione e lo spirito che segnano una rottura con le melodie piacevoli dei periodi precedenti. Le temerità tonali del primo tempo, al limite della dissonanza, scandalizzarono il pubblico di allora; il secondo tempo, Marcia funebre, fu il modello di simili invenzioni tragico-elegiache care alla musica romantica.

La Quarta Sinfonia in si bemolle maggiore op. 60 (1807) fu definita, per la sua limpida serenità dai toni fiabeschi, un delicato elfo in mezzo a due giganti nordici, ossia tra le poderose architetture tragiche della Terza e della Quinta. La Quinta in do minore op. 67 (1808), opera emblema del suo autore, collocata esattamente al centro del suo arco creativo, colpisce per l’inesorabile necessità «kantiana» con cui la martellante terna che apre il primo tempo costruisce un serrato discorso logico, e per la novità formale con cui il demoniaco terzo tempo, lo Scherzo, si unisce al Finale glorioso senza soluzione di continuità.

La Sesta in fa maggiore op. 68 «Pastorale» (1808), la Settima in la maggiore op. 92 (definita da Wagner «apoteosi della danza»: 1813) e la piccola Ottava in fa maggiore op. 93 (1814) sono monumenti di serena vitalità, appena adombrata da nubi, e creano un teso contrasto con la Nona Sinfonia in re minore op. 125 (1824), capolavoro del tardo stile, estasi dinanzi al mistero dell’assoluto, la cui clamorosa novità formale è il Finale con voci sole e coro sul testo dell’ode Alla gioia (An die Freude) di Friedrich Schiller. Potenza di stile tragico era già presente in altre grandiose partiture sinfoniche, fra cui le ouvertures Coriolano op. 62 (1807) e Egmont op. 84 (1810).

Le Sinfonie di Beethoven

Modelli per i musicisti romantici e vertici artistici nel loro genere sono anche le 7 composizioni per strumento solista e orchestra, vale a dire: i 5 Concerti per pianoforte e orchestra (op.15, 19, 37, 58, 73), quello per violino e orchestra op. 61, e il Triplo concerto per pianoforte, violino o violoncello op. 56.

Beethoven è il primo compositore moderno che indica la via che seguiranno tendenzialmente i grandi autori del romanticismo, anche se il suo stile è troppo personale per adattarsi alle categorie stilistiche segnate dalle poetiche del romanticismo musicale e a quelle, non opposte ma sicuramente diverse, della classicità viennese.

E’ la vita che, nell’ambito di un genere o di una forma, condensa l’energia creativa e l’emozione poetica in pochi esempi, tutti memorabili.

Salvatore Margarone

 

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